La Divina Commedia di Dante: Purgatorio: Canto XV

Quanto tra l'ultimar de l'ora terza
  e 'l principio del di` par de la spera
  che sempre a guisa di fanciullo scherza,

tanto pareva gia` inver' la sera
  essere al sol del suo corso rimaso;
  vespero la`, e qui mezza notte era.

E i raggi ne ferien per mezzo 'l naso,
  perche' per noi girato era si` 'l monte,
  che gia` dritti andavamo inver' l'occaso,

quand'io senti' a me gravar la fronte
  a lo splendore assai piu` che di prima,
  e stupor m'eran le cose non conte;

ond'io levai le mani inver' la cima
  de le mie ciglia, e fecimi 'l solecchio,
  che del soverchio visibile lima.

Come quando da l'acqua o da lo specchio
  salta lo raggio a l'opposita parte,
  salendo su per lo modo parecchio

a quel che scende, e tanto si diparte
  dal cader de la pietra in igual tratta,
  si` come mostra esperienza e arte;

cosi` mi parve da luce rifratta
  quivi dinanzi a me esser percosso;
  per che a fuggir la mia vista fu ratta.

"Che e` quel, dolce padre, a che non posso
  schermar lo viso tanto che mi vaglia",
  diss'io, "e pare inver' noi esser mosso?".

"Non ti maravigliar s'ancor t'abbaglia
  la famiglia del cielo", a me rispuose:
  "messo e` che viene ad invitar ch'om saglia.

Tosto sara` ch'a veder queste cose
  non ti fia grave, ma fieti diletto
  quanto natura a sentir ti dispuose".

Poi giunti fummo a l'angel benedetto,
  con lieta voce disse: "Intrate quinci
  ad un scaleo vie men che li altri eretto".

Noi montavam, gia` partiti di linci,
  e 'Beati misericordes!' fue
  cantato retro, e 'Godi tu che vinci!'.

Lo mio maestro e io soli amendue
  suso andavamo; e io pensai, andando,
  prode acquistar ne le parole sue;

e dirizza'mi a lui si` dimandando:
  "Che volse dir lo spirto di Romagna,
  e 'divieto' e 'consorte' menzionando?".

Per ch'elli a me: "Di sua maggior magagna
  conosce il danno; e pero` non s'ammiri
  se ne riprende perche' men si piagna.

Perche' s'appuntano i vostri disiri
  dove per compagnia parte si scema,
  invidia move il mantaco a' sospiri.

Ma se l'amor de la spera supprema
  torcesse in suso il disiderio vostro,
  non vi sarebbe al petto quella tema;

che', per quanti si dice piu` li` 'nostro',
  tanto possiede piu` di ben ciascuno,
  e piu` di caritate arde in quel chiostro".

"Io son d'esser contento piu` digiuno",
  diss'io, "che se mi fosse pria taciuto,
  e piu` di dubbio ne la mente aduno.

Com'esser puote ch'un ben, distributo
  in piu` posseditor, faccia piu` ricchi
  di se', che se da pochi e` posseduto?".

Ed elli a me: "Pero` che tu rificchi
  la mente pur a le cose terrene,
  di vera luce tenebre dispicchi.

Quello infinito e ineffabil bene
  che la` su` e`, cosi` corre ad amore
  com'a lucido corpo raggio vene.

Tanto si da` quanto trova d'ardore;
  si` che, quantunque carita` si stende,
  cresce sovr'essa l'etterno valore.

E quanta gente piu` la` su` s'intende,
  piu` v'e` da bene amare, e piu` vi s'ama,
  e come specchio l'uno a l'altro rende.

E se la mia ragion non ti disfama,
  vedrai Beatrice, ed ella pienamente
  ti torra` questa e ciascun'altra brama.

Procaccia pur che tosto sieno spente,
  come son gia` le due, le cinque piaghe,
  che si richiudon per esser dolente".

Com'io voleva dicer 'Tu m'appaghe',
  vidimi giunto in su l'altro girone,
  si` che tacer mi fer le luci vaghe.

Ivi mi parve in una visione
  estatica di subito esser tratto,
  e vedere in un tempio piu` persone;

e una donna, in su l'entrar, con atto
  dolce di madre dicer: "Figliuol mio
  perche' hai tu cosi` verso noi fatto?

Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
  ti cercavamo".  E come qui si tacque,
  cio` che pareva prima, dispario.

Indi m'apparve un'altra con quell'acque
  giu` per le gote che 'l dolor distilla
  quando di gran dispetto in altrui nacque,

e dir: "Se tu se' sire de la villa
  del cui nome ne' dei fu tanta lite,
  e onde ogni scienza disfavilla,

vendica te di quelle braccia ardite
  ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistrato".
  E 'l segnor mi parea, benigno e mite,

risponder lei con viso temperato:
  "Che farem noi a chi mal ne disira,
  se quei che ci ama e` per noi condannato?",

Poi vidi genti accese in foco d'ira
  con pietre un giovinetto ancider, forte
  gridando a se' pur: "Martira, martira!".

E lui vedea chinarsi, per la morte
  che l'aggravava gia`, inver' la terra,
  ma de li occhi facea sempre al ciel porte,

orando a l'alto Sire, in tanta guerra,
  che perdonasse a' suoi persecutori,
  con quello aspetto che pieta` diserra.

Quando l'anima mia torno` di fori
  a le cose che son fuor di lei vere,
  io riconobbi i miei non falsi errori.

Lo duca mio, che mi potea vedere
  far si` com'om che dal sonno si slega,
  disse: "Che hai che non ti puoi tenere,

ma se' venuto piu` che mezza lega
  velando li occhi e con le gambe avvolte,
  a guisa di cui vino o sonno piega?".

"O dolce padre mio, se tu m'ascolte,
  io ti diro`", diss'io, "cio` che m'apparve
  quando le gambe mi furon si` tolte".

Ed ei: "Se tu avessi cento larve
  sovra la faccia, non mi sarian chiuse
  le tue cogitazion, quantunque parve.

Cio` che vedesti fu perche' non scuse
  d'aprir lo core a l'acque de la pace
  che da l'etterno fonte son diffuse.

Non dimandai "Che hai?" per quel che face
  chi guarda pur con l'occhio che non vede,
  quando disanimato il corpo giace;

ma dimandai per darti forza al piede:
  cosi` frugar conviensi i pigri, lenti
  ad usar lor vigilia quando riede".

Noi andavam per lo vespero, attenti
  oltre quanto potean li occhi allungarsi
  contra i raggi serotini e lucenti.

Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
  verso di noi come la notte oscuro;
  ne' da quello era loco da cansarsi.

Questo ne tolse li occhi e l'aere puro.